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Negli anni Settanta, quando tutti impazzirono, si è persa l’idea dell’azienda come bene comune, tanto dei proprietari quanto dei lavoratori. Il risultato è stato che sia gli uni sia gli altri si sono chiamati fuori dalle responsabilità reciproche. Molti proprietari hanno impoverito le aziende a favore delle proprie famiglie, i lavoratori hanno preteso che le imprese dessero risposte a tutti i loro bisogni. Merito e dovere sono state le prime vittime della lotta di classe di quegli anni.
Marco Pasetti (tratto da “La formula del Capitano”)
D’altra parte si era affacciata al mondo una generazione che non aveva visto la guerra, che aveva sacrosanti desideri di cambiare tutto. Una generazione che voleva più diritti, più benessere, più libertà, più di tutto, ma che non voleva pagarne il prezzo. Non è un giudizio il mio, è una constatazione che a un certo punto si è rotto l’equilibrio tra diritti e doveri.
Alcune tra le narrazioni più interessanti in cui sia incappato, o perlomeno quelle che alla fine mi hanno lasciato un insegnamento da poter mettere in pratica, sono legate agli imprenditori ed alle imprese. Non solo perché si tratta di storie realmente accadute, ma anche perché in questi racconti ci si trova spesso ad incrociare la storia di una nazione, vuoi perché le scelte dei protagonisti hanno condizionato la vita di migliaia di famiglie di lavoratori, o più semplicemente perché i prodotti usciti dalle loro fabbriche hanno in parte influenzato le mode e i costumi di intere generazioni, entrando a pieno titolo nel vissuto di ciascuno di noi.
Il libro che vi sto per consigliare ne è in questo senso un esempio lampante. Anche (e soprattutto) perché la voce narrante (e scrivente) di questa vicenda non è il solito giornalista che decide di dare il suo contributo alla storia dell’umanità narrando le gesta di un uomo illustre, ma è lo stesso uomo illustre di cui sopra che per un momento ci apre la porta di casa sua e ci invita ad entrare.
Facciamo dunque il nostro ingresso in casa Pasetti, o per meglio dire in casa Ciccarelli, la famiglia che produce e commercializza da più di mezzo secolo la rinomata “Pasta del Capitano” e la “Cera di Cupra” (prodotto quest’ultimo il cui nome trae origine proprio dalla città marchigiana di Cupra Marittima in cui agli inizi del secolo scorso i Ciccarelli operavano come farmacisti).
Per certi aspetti, peromeno all’inizio, l’opera del dott. Pasetti può sembrare il tipico racconto del grande vecchio che con disillusione ci racconta di “quando c’era lui“, di “quando qui era tutta campagna” e tutta un’altra serie di luoghi comuni triti e ritriti che la generazione attuale fatica a digerire.
In realtà, concedendo un po’ di fiducia all’autore, quello che emerge dalla lettura di queste pagine è una critica rigorosa del sistema imprenditoriale italiano vista dalla parte di chi quel sistema lo ha visto rinascere e crescere, dal dopoguerra fino ai giorni nostri, dal boom economico degli anni ’50 alla crisi del 2008, passando per gli anni della contestazione fino agli anni ’80. Decennio quest’ultimo nel quale (stando alle parole di Pasetti) il giocattolo pare si sia rotto.
O per meglio dire tutta una serie di cose sono cambiate. A cominciare dalla pubblicità, che con la fine del Carosello (e l’avvento delle emittenti nazionali private) apre nuove opportunità di marketing alle tante aziende che fino ad allora si erano viste negare il passaggio di un loro spot sulle reti di Stato, ma che per contro (perlomeno a detta di Pasetti) costringe le aziende a dover aumentare i propri investimenti promozionali per avere un ritorno in termini di clienti pari a quello precedente. Proseguendo con l’avvento della GDO (ossia della Grande Distribuzione Organizzata) che mette i propri prodotti in concorrenza con quelli dei propri fornitori, costringendo quest’ultimi ad un acerrimo confronto sui prezzi dal quale, ça va sans dire, le piccole medie imprese (e per estensione il tessuto imprenditoriale italiano) ne escono con le ossa rotte. Fino ad arrivare alla “moda” dei manager esterni ed al primato della finanza sulla produzione, prodotti di uno yuppismo al quale la maggior parte delle imprese italiane ha faticato a sopravvivere.
Si arriva dunque ai giorni nostri, con una storia (quella della famiglia Ciccarelli) che prosegue all’insegna dei valori che da sempre ispirano l’impresa di questi farmacisti di Cupra Marittima, impegnati da ormai più di mezzo secolo nell’offrire ai propri consumatori un prodotto che, dopo la lettura di questo libro, definirei di un’onesta qualità. Termine quest’ultimo che volutamente si contrappone ai falsi superlativi cui la pubblicità oggigiorno ci ha purtroppo abituati.
“La formula del Capitano” diviene dunque l’occasione per tutti noi di fermarci per un momento a pensare e a ripensare il modello di sviluppo di un Paese apparentemente e inconsapevolmente lanciato verso un precipizio economico e di valori. E, al di la di questo, di ascoltare una bella storia con quello stile narrativo avvincente che solo chi l’ha vissuta può avere.