L’inclusione non è solo un fattore culturale: il concetto, inserito in ambito aziendale, si traduce in un valore economico dal risultato misurabile. Non solo un dovere per la Governance di un’impresa, quindi, ma anche un vantaggio competitivo e una opportunità di business. È il valore D.
Da qualche tempo siamo abituati a valutare i marchi con le quali ci rapportiamo anche dal Bilancio Sociale che pubblicano circa le attività legate alla responsabilità sociale di impresa e la sostenibilità. Ormai siamo usciti dal tema pionieristico dal quale emergevano circa un quarto di secolo fa; oggi la sostenibilità sociale e ambientale non è più una opzione. Ormai esistono società internazionali che misurano con Sustainability Rating le concrete scelte e le conseguenti attività imprenditoriali. Oggi l’approccio è sostanziale, etico, ma anche funzionale per il business e come orientamento strategico all’evoluzione aziendale.
Il Fattore D è un valore che traduce il valore reputazionale nella migliore capacità di un’impresa di valutare interessi e istanze del consumatore, in capacità di attrarre e fidelizzare collaboratori e clientela. Il consumatore si specchia nel marchio che sceglie, percepisce la somiglianza di percezione valoriale con la propria.
Il Fattore D si può dire costituisca un elemento di innovazione. E’ stato stimato che le aziende abbiano elevata capacità di condurre opinioni, guidando inclinazione e gusti del mercato, anticipando e seguendo trend. Una responsabilità molto grande che deve far pensare i vertici delle Aziende.
Oggi molte grandi aziende hanno già fatto proprio il Fattore D; ma va considerato che nel nostro Paese il tessuto imprenditoriale è largamente dominato da PMI dove la cultura aziendale deve ancora pensare alle opportunità che ancora possono derivare da scelte socio-economiche meno tradizionali.